Encefalomielite Mialgica, si tratta di una neuropatologia
Abbiamo intervistato il Prof. Marco Ruggiero, specialista in radiologia diagnostica e ordinario di biologia molecolare presso l’Università di Firenze, in occasione del Congresso nazionale dell’associazione M.A.R.A. sulla Sindrome da Fatica Cronica (CFS). Ruggiero si occupa dal 1980 della correlazione tra alimentazione e malattie croniche; per lungo tempo si è occupato di oncologia, più recentemente ha iniziato a svolgere studi in ambito immunologico. Da qualche anno si occupa però anche della CFS.
“Comincerei dicendo che è più corretto parlare di Encefalomielite Mialgica (ME) che di CFS, – spiega Ruggiero- è più giusto definirla così perché la definizione “fatica cronica” tende a focalizzarsi su un solo sintomo, ma si tratta a tutti gli effetti di una neuropatologia, pertanto è giusto sottolinearne la natura neurologica. Inoltre recentemente si sta prospettando l’ipotesi che la ME sia associata anche a una componente immunologica.”
Ruggiero ha passato diversi mesi ad Asheville (North Carolina), per assistere il team del Dott. Paul Cheney(fondatore della Cheney Clinic, struttura che ha visitato circa 8000 pazienti da tutto il mondo) e che offre ai pazienti affetti da ME trattamenti multifattoriali che spesso hanno ottimi esiti. Negli USA sono milioni i pazienti ai quali è stata diagnosticata la ME, mente in Italia siamo sull’ordine delle centinaia di migliaia.
“Stimare l’incidenza della ME è davvero difficile, a causa delle sfumature della diagnosi. I criteri diagnostici internazionali aiutano molto i medici, ma ad oggi la diagnosi si fa ancora per esclusione. Si tratta della tecnica meno efficace e meno tempestiva, è un procedimento lungo e complesso che, tra le altre cose, necessita di almeno 6 mesi di sofferenza del paziente per poter diagnosticare la patologia.”
Pare però che esistano dei metodi diagnostici strumentali che cominciano a prospettarsi come sicuri e precisi. “La ME è una neuropatologia, in quanto tale può essere confermata dalla diagnostica per immagini. E’ stato dimostrato che la ME comporta una riduzione della materia grigia di circa il 10 per cento; tale riduzione è visibile con gli strumenti adeguati, quali PET (Tomografia a emissioni di positroni) e risonanza magnetica. A Firenze stiamo studiando anche un metodo diagnostico sicuro e non invasivo per analizzare la struttura della corteccia cerebrale. Si tratta di un’ecografia transcranica, che permette di osservare la struttura della materia grigia in maniera facile e veloce. Questo metodo potrebbe rappresentare una soluzione diagnostica semplice, totalmente sicura e anche molto più economica rispetto alle tecniche utilizzate attualmente”.
Per quanto invece riguarda le prospettive terapeutiche il prof. Ruggiero ci ha spiegato la situazione attuale : “Il trattamento di questa patologia dipende dall’inquadramento diagnostico che si decide di seguire. Se la CFS viene considerata una patologia psichiatrica ecco che ai pazienti sarà proposto un trattamento psichiatrico, che secondo la mia opinione spesso non migliora la situazione. Sono particolarmente contrario all’interpretazione esclusivamente psichiatrica di questa patologia, anche se la componente psichiatrica esiste in tutte le patologie croniche disabilitanti. Se però la ME è multifattoriale, anche l’approccio terapeutico dovrà essere multifattoriale. Se è presente una disfunzione immunitaria sarà necessario trattarla, se si riscontrano carenze nutrizionali sarà bene colmarle e nel caso di esposizione dei pazienti a metalli pesanti dovranno essere adattate le misure necessarie.”
In particolare Ruggiero si sta concentrando sull’aspetto nutrizionale del trattamento terapeutico: “Alcuni studirealizzati al Karolinska Institutet di Stoccolma hanno mostrato che alcuni alimenti, come ad esempio i probiotici, comportano buoni miglioramenti nei pazienti con ME. E’ necessario iniziare a pensare alle interazioni tra quello che viene chiamato ‘primo cervello’, l’encefalo vero e proprio contenuto nella scatola cranica, e il ‘secondo cervello’ che è l’intestino. Nell’intestino infatti esiste un numero di neuroni superiore a quello dell’encefalo e questi neuroni sono connessi tra loro e con quelli cerebrali, pertanto è davvero impossibile ignorare l’importanza dei rapporti tra intestino a patologie neurologiche. Noi attualmente stiamo lavorando su questo”.
Ruggiero ha passato diversi mesi ad Asheville (North Carolina), per assistere il team del Dott. Paul Cheney(fondatore della Cheney Clinic, struttura che ha visitato circa 8000 pazienti da tutto il mondo) e che offre ai pazienti affetti da ME trattamenti multifattoriali che spesso hanno ottimi esiti. Negli USA sono milioni i pazienti ai quali è stata diagnosticata la ME, mente in Italia siamo sull’ordine delle centinaia di migliaia.
“Stimare l’incidenza della ME è davvero difficile, a causa delle sfumature della diagnosi. I criteri diagnostici internazionali aiutano molto i medici, ma ad oggi la diagnosi si fa ancora per esclusione. Si tratta della tecnica meno efficace e meno tempestiva, è un procedimento lungo e complesso che, tra le altre cose, necessita di almeno 6 mesi di sofferenza del paziente per poter diagnosticare la patologia.”
Pare però che esistano dei metodi diagnostici strumentali che cominciano a prospettarsi come sicuri e precisi. “La ME è una neuropatologia, in quanto tale può essere confermata dalla diagnostica per immagini. E’ stato dimostrato che la ME comporta una riduzione della materia grigia di circa il 10 per cento; tale riduzione è visibile con gli strumenti adeguati, quali PET (Tomografia a emissioni di positroni) e risonanza magnetica. A Firenze stiamo studiando anche un metodo diagnostico sicuro e non invasivo per analizzare la struttura della corteccia cerebrale. Si tratta di un’ecografia transcranica, che permette di osservare la struttura della materia grigia in maniera facile e veloce. Questo metodo potrebbe rappresentare una soluzione diagnostica semplice, totalmente sicura e anche molto più economica rispetto alle tecniche utilizzate attualmente”.
Per quanto invece riguarda le prospettive terapeutiche il prof. Ruggiero ci ha spiegato la situazione attuale : “Il trattamento di questa patologia dipende dall’inquadramento diagnostico che si decide di seguire. Se la CFS viene considerata una patologia psichiatrica ecco che ai pazienti sarà proposto un trattamento psichiatrico, che secondo la mia opinione spesso non migliora la situazione. Sono particolarmente contrario all’interpretazione esclusivamente psichiatrica di questa patologia, anche se la componente psichiatrica esiste in tutte le patologie croniche disabilitanti. Se però la ME è multifattoriale, anche l’approccio terapeutico dovrà essere multifattoriale. Se è presente una disfunzione immunitaria sarà necessario trattarla, se si riscontrano carenze nutrizionali sarà bene colmarle e nel caso di esposizione dei pazienti a metalli pesanti dovranno essere adattate le misure necessarie.”
In particolare Ruggiero si sta concentrando sull’aspetto nutrizionale del trattamento terapeutico: “Alcuni studirealizzati al Karolinska Institutet di Stoccolma hanno mostrato che alcuni alimenti, come ad esempio i probiotici, comportano buoni miglioramenti nei pazienti con ME. E’ necessario iniziare a pensare alle interazioni tra quello che viene chiamato ‘primo cervello’, l’encefalo vero e proprio contenuto nella scatola cranica, e il ‘secondo cervello’ che è l’intestino. Nell’intestino infatti esiste un numero di neuroni superiore a quello dell’encefalo e questi neuroni sono connessi tra loro e con quelli cerebrali, pertanto è davvero impossibile ignorare l’importanza dei rapporti tra intestino a patologie neurologiche. Noi attualmente stiamo lavorando su questo”.
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