di Gabriele Siciliano*, Elena Caldarazzo Ienco* e Caterina Tramonti*

Le miopatie metaboliche sono malattie muscolari caratterizzate da un deficit a carico di una o più reazioni biochimiche lungo quelle vie metaboliche che sono implicate nella produzione di energia all’interno delle cellule muscolari.
Tali patologie possono essere classificate in:
- ereditarie e/o congenite
- acquisite
- d
i incerta classificazione.
Gruppi di malattie metaboliche
Le miopatie metaboliche ereditarie e/o congenite sono dovute a disordini della produzione di energia, a livello del muscolo scheletrico, correlabili a un preciso difetto metabolico e che possono risultare in un abnorme accumulo del substrato relativo alla reazione biochimica interessata o in un deficit del prodotto finale. Ne consegue un inadeguato rifornimento di substrati al muscolo oppure il blocco della loro utilizzazione durante l’esercizio fisico.
Nelle miopatie metaboliche acquisite, invece, il difetto biochimico muscolare è correlabile ad altre patologie, di tipo endocrino (patologie della tiroide; delle paratiroidi; dell’ipofisi e delle ghiandole surrenali; di natura esogena, tossica o farmacologica).

Manifestazione e diagnosi
Le miopatie metaboliche si manifestano clinicamente con deficit di forza, variazione della massa muscolare (ipo-atrofia; peseudoipertrofia), ma soprattutto con intolleranza allo sforzo, evidenziata da precoce affaticabilità, mialgie, contratture ed episodi di mioglobinuria [mioglobina nelle urine, N.d.R.].
La diagnosi richiede innanzitutto un’accurata valutazione clinica, volta a documentare un’eventuale familiarità, l’assunzione di farmaci e la presenza di sintomi tipici (affaticamento muscolare e intolleranza all’esercizio; mialgie; contratture e irrigidimento muscolare; più raramente deficit di forza e variazioni della massa muscolare). Il medico si avvale, inoltre, di indagini di laboratorio, elettrofisiologiche, biochimiche e genetiche.

Le indagini
Gli esami di laboratorio comprendono, in una prima fase, il dosaggio plasmatico di enzimi muscolari, indice di eventuale danno della fibra muscolare e di alcuni metaboliti espressione della contrazione muscolare, quali lattato, piruvato, corpi chetonici, ammonio e trigliceridi. A questi fanno seguito esami più specifici: curva di lattato e ammonio, in presenza di uno sforzo aerobico e anaerobico; dosaggio degli acidi organici urinari e della carnitina libera e/o esterificata su sangue e biopsia del muscolo.

Il test da sforzo ischemico all’avambraccio per la valutazione della produzione di acido lattico e ammonio è utile per l’identificazione dei difetti del metabolismo muscolare.
Durante l’esecuzione del test, il paziente deve stringere un dinamometro in modo intermittente per un minuto. La condizione di ischemia viene creata da uno sfigmomanometro posizionato al braccio e gonfiato a valori superiori alla pressione arteriosa sistolica del paziente. Dalla vena anticubitale dell’avambraccio che ha compiuto lo sforzo e dove è stata indotta l’ischemia, vengono poi eseguiti dei prelievi venosi, in condizioni basali e dopo uno, tre e dieci minuti dalla fine dell’esercizio, in modo da determinare i livelli plasmatici del lattato e ammonio. Nei soggetti normali il lattato mostra un incremento da due a cinque volte superiore ai valori misurati a riposo nei primi due-tre minuti, per poi tornare ai livelli basali dopo la fase di recupero.
Nei difetti del metabolismo del glicogeno, i livelli di lattato plasmatici non aumentano significativamente, mentre si può riscontrare un incremento dell’ammonio da due a cinque volte superiore rispetto ai valori basali. L’assenza di un incremento dell’ammonio in presenza di una normale curva del lattato, invece, indica un deficit di mioadenilato deaminasi.

Il test da sforzo aerobico per la valutazione della produzione dell’acido lattico è un test nel quale il paziente esegue un esercizio prolungato – di circa venti minuti – al cicloergometro e viene quindi sottoposto a una serie di prelievi di sangue seriali, per determinare la soglia anaerobica lattacidemica.
Le indagini elettrofisiologiche sono in grado di fornire ulteriori informazioni nel vasto spettro delle miopatie metaboliche.
L’applicazione delle indagini strumentali (ecografia, imaging e spettroscopia in risonanza magnetica) nella diagnostica clinica delle patologie muscolari, consentendo la valutazione della massa muscolare normale o anormale, della diversa intensità di segnale nei singoli muscoli e del loro variabile coinvolgimento, può permettere l’identificazione di pattern [“indicatori”, N.d.R.] specifici di coinvolgimento muscolare nella patologia oggetto di studio.
Per un ulteriore approfondimento diagnostico, inoltre, si può ricorrere, in casi selezionati, alla risonanza magnetica muscolare spettroscopica per il fosforo 31-P, esame non invasivo che permette di studiare la concentrazione dei metaboliti muscolari (ATP, fosfocreatina, fosforo inorganico) e del pH intracellulare in pazienti con malattie muscolari, sia a riposo sia durante esercizio. Questo test è attuabile, eventualmente, prima e dopo trattamenti terapeutici.
Il vero punto di forza della risonanza magnetica muscolare spettroscopica per il fosforo 31-P nello studio del metabolismo muscolare sta tuttavia nella possibilità di rivelare il segnale dei metaboliti fosforici anche durante un esercizio effettuato all’interno del magnete. In questo modo è allora possibile investigare il muscolo nelle sue diverse condizioni metaboliche: riposo, esercizio e recupero.
L’ergometro è un elemento fondamentale di un esperimento di 31P MRS del muscolo, in quanto essenziale non solo per poter eseguire l’esercizio all’interno del magnete, ma anche e soprattutto per farlo in modo controllato, permettendo di risalire a tutti i parametri cinetici che lo caratterizzano.

La biopsia muscolare, infine, è una delle indagini più importanti nel sospetto di una malattia muscolare di natura metabolica. Lo studio istologico, istochimico, ultrastrutturale e biochimico su muscolo evidenzia l’entità della compromissione delle fibre muscolari e del deficit enzimatico specifico. Ad esempio la colorazione con PAS (reazione con acido periodico di Schiff) permette di evidenziare vacuoli contenenti accumuli di carboidrati nelle glicogenosi.
Caratteristiche genetiche e cliniche
I recenti studi di genetica molecolare hanno rivestito un ruolo importante nella definizione clinica delle varie sindromi, facilitando la diagnosi (anche prenatale) e spiegando l’enorme varietà fenotipica associata a mutazioni dello stesso gene.
Grazie a questi studi le basi genetiche e le modalità di trasmissione di numerose miopatie metaboliche sono attualmente note (ad esempio il difetto del gene CPT2 nel deficit di carnitina-palmitoil-trasferasi tipo II o del gene PYGM nella malattia di McArdle).
I difetti metabolici alla base di queste patologie possono essere:

- Difetti del metabolismo lipidico (difetto della beta-ossidazione; deficit di carnitina-palmitoil-transferasi; deficit sistemico-secondario di carnitina), che insorgono in condizioni di prolungato lavoro muscolare. Essi si associano clinicamente a rabdomiolisi [rottura delle cellule del muscolo scheletrico, N.d.R.], mioglobinuria e, talvolta, a cardiomiopatia.
La miopatia da deficit di carnitina può avere una causa genetica, solitamente con una trasmissione autosomica recessiva (ovvero con l’alterazione del DNA presente in entrambi gli elementi della coppia di cromosomi).
Qui è presente debolezza muscolare generalizzata che colpisce, in particolare, la muscolatura prossimale (quella più vicina all’asse mediano del corpo, ad esempio cosce) e, talvolta, i muscoli del collo. La carnitina svolge un importante ruolo nel trasporto di acidi grassi a lunga catena ai mitocondri, organelli intracellulari nei quali avviene la beta-ossidazione. Una carenza di carnitina, quindi, provoca un accumulo di lipidi (grassi), in particolare trigliceridi.

- Difetti del metabolismo dei carboidrati, ovvero le glicogenosi (ad esempio deficit dell’enzima deramificante; malattia di Mc Ardle; deficit di fosfogliceratokinasi; lattato-deidrogenasi ecc.).
Queste sono miopatie da accumulo di glicogeno, caratterizzate da anomalie strutturali delle molecole di quest’ultimo e/o da aumentata concentrazione di glucosio nelle cellule muscolari. I disordini del metabolismo del glicogeno o del glucosio si esprimono clinicamente con dolore, contratture e mioglobinuria ad insorgenza dopo un esercizio intenso.
La glicogenosi di tipo V (detta anche malattia di Mc Ardle) è una patologia a trasmissione autosomica recessiva legata al cromosoma 11q12 e dovuta a un deficit di miofosforilasi che causa il blocco della glicogenolisi muscolare, portando a un accumulo di glicogeno nelle fibre muscolari, fino a rendere il muscolo incapace di far fonte alla richiesta energetica per uno sforzo intenso e di breve durata.
In corrispondenza di un esercizio muscolare acuto, il paziente presenta crampi, dolore muscolare e mioglobinuria.

- Difetti del metabolismo purinico: essi sono dovuti alla deficienza di mioadenilato-deaminasi che comporta una modificazione del catabolismo dei nucleotidi purinici e della loro interconversione.
Si possono distinguere due forme di deficit di mioadenilato-deaminasi. La forma ereditaria (primitiva) può essere sia asintomatica che associata all’insorgenza di crampi e mialgie dopo esercizio fisico. La forma acquisita (secondaria) è associata a un ampio spettro di malattie reumatologiche o neuromuscolari.
L’età media al momento della diagnosi è di 37 anni, con un intervallo compreso tra 4 e 76 anni. Nel 97% dei soggetti l’insorgenza dei sintomi avviene nell’infanzia o nei primi anni dell’età adulta.

Malattie mitocondriali
Si tratta di un gruppo di malattie caratterizzate da difetti strutturali, biochimici e genetici dei mitocondri, quegli organelli intracellulari di cui si è detto, nei quali avviene la beta-ossidazione e che sono deputati alla produzione di ATP, la molecola energetica più importante per la cellula.
Poiché i mitocondri sono presenti in tutte le cellule dell’organismo, la miopatia rappresenta spesso solo una parte dell’espressione fenotipica di un disturbo multisistemico.
Le strutture del mitocondrio sono codificate in parte da un genoma proprio del mitocondrio stesso e in parte dal genoma nucleare della cellula che lo contiene. Questa simbiosi tra i due genomi spiega la peculiarità e la complessità dei meccanismi genetici che sottendono le malattie mitocondriali, come l’eredità matrilineare, l’eteroplasmia [coesistenza di diversi genomi mitocondriali, N.d.R.] e il cosiddetto “effetto soglia”, per il quale la quantità di genomi mutati in una cellula/tessuto condiziona l’espressione fenotipica della malattia.
Le malattie mitocondriali, quindi, possono essere classificate a seconda che il difetto genetico coinvolga il genoma mitocondriale o quello nucleare.
Un esempio di malattia mitocondriale è l’oftalmoplegia esterna progressiva (CPEO), caratterizzata da ptosi [caduta della palpebra, N.d.R.] asimmetrica, oftalmoplegia esterna progressiva, disfagia, disartria e deficit di forza negli arti.
La malattia si trasmette di solito con meccanismo autosomico recessivo in linea materna.

*Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Pisa. Gabriele Siciliano ha fatto parte dal 2000 al 2010 della Commissione Medico-Scientifica UILDM, della quale è stato vicepresidente dal 2008 al 2010.

Per ulteriori dettagli o altri riferimenti bibliografici: Ufficio di Coordinamento della Commissione Medico-Scientifica UILDM (responsabile: Stefano Borgato), tel. 049/8024303, redazionedm@eosservice.com.

Data ultimo aggiornamento: dicembre 2010.