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07 maggio 2012

Una patologia che impedisce di lavorare, studiare, accudire la famiglia Sempre stanchi, svogliati, smemorati? A volte può essere una malattia - CFS

una patologia che impedisce di lavorare, studiare, accudire la famiglia

Sempre stanchi, svogliati, smemorati?
A volte può essere una malattia

Sono 300mila gli italiani che soffrono della sindrome da stanchezza cronica, sottovalutata dai medici e tollerata con rassegnazione dai malati. Ecco che cosa fare


MILANO - «Egregio dottore, vorrei sapere se la cosiddetta fatigue è frequente nei malati di cancro anche dopo le terapie. Frequento la palestra e voglio mantenermi attiva, ma mi sento stanca, sempre. Esistono cure al riguardo?» scrive a uno dei forum di Sportello Cancro Anna, 48 anni e operata con successo di un tumore al seno. Come lei sono moltissimi i pazienti oncologici, ma non solo, che soffrono di fatigue (termine inglese che significa debolezza, affaticamento) e stanchezza cronica. Un disturbo che colpisce a livello fisico e psichico, con conseguenze sulla vita sociale e sul comportamento di chi ne soffre. Molti si rassegnano a conviverci, tanti altri scrivono cercando una soluzione. «La fatigue può essere curata e risolta, ma è indispensabile una stretta collaborazione fra medico e paziente» sottolinea Umberto Tirelli, direttore del Dipartimento di oncologia medica dell’Istituto nazionale tumori di Aviano (Pn), dove esiste anche un’unità con ambulatorio settimanale e, nei casi più difficili, possibilità di ricovero. Sono circa 300mila gli italiani che soffrono della sindrome da stanchezza cronica (Cfs), anche se in Italia (come in molti Paesi occidentali) sono ancora in tanti a non sapere dell’esistenza di questa malattia. Invece, purtroppo, la Cfs colpisce soprattutto i giovani e lascia spesso per molti anni una situazione così grave dal punto di vista fisico che impedisce di continuare a lavorare o a studiare.
SOTTOVALUTATA DAI MEDICI - Il problema è particolarmente sentito dai malati oncologici, tanto da costituire una malattia nella malattia. Ne soffre, infatti, fino al 90 per cento dei pazienti, soprattutto durante la chemioterapia, ma in tanti casi la spossatezza persiste anche dopo la fine dei vari trattamenti. Secondo quanto riportano gli stessi pazienti, la fatigue influisce pesantemente sulla vita di ogni giorno: l’89% per cento la ritiene il sintomo che condiziona maggiormente le attività quotidiane, il 75 per cento è stato costretto a modificare le abitudini lavorative, il 69 per cento trova difficoltà a camminare a lungo e si stanca in fretta e più della metà (55 per cento) ha persino difficoltà ad accudire la famiglia. Se da una parte molti medici non la riconoscono o sottovalutano i sintomi perché tendono a sovrapporli a una sindrome depressiva e a una condizione di malessere generale, dall’altra i malati, non trattandosi di segnali ben definiti e costanti, tendono a non esporli. Soprattutto chi è in cura per un tumore ritiene che la debolezza permanente sia parte ineluttabile e incurabile della malattia. Per questo diverse associazioni europee e americane hanno indetto lo scorso 12 maggio 2010 una Giornata mondiale di sensibilizzazione allo scopo di richiamare l’attenzione su questa patologia così grave da rovinare la vita di molte persone.
ESAUSTI, PIGRI, SVOGLIATI - Molti malati raccontano di avere difficoltà a compiere le normali attività quotidiane, a concentrarsi e a prestare attenzione, a parlare e a prendere decisioni o a ricordare le cose. Inoltre lamentano di non avere la forza di fare nulla, si sentono completamente svuotati di ogni energia, spesso soffrono di disturbi del sonno e di una certa fragilità dell’umore. Certo la stanchezza è uno dei sintomi più frequenti per cui ci si reca dal medico, ma spesso è dovuta a stress, depressione o a patologie come ipotiroidismo, diabete, infezioni croniche, malattie infiammatorie croniche. Una diagnosi di Cfs, quindi, prevede prima l’esclusione di tutte le cause precedenti: per questo è fondamentale un confronto costante fra medico e malato, una collaborazione che aiuti a chiarire una situazione di spossatezza persistente non alleviata dal riposo e che si aggrava con piccoli sforzi. I segnali a cui prestare attenzione? Questi, se presenti per almeno sei mesi: disturbi della memoria e della concentrazione così severi da ridurre sostanzialmente i livelli precedenti delle attività lavorative sociali e personali, faringite, dolori delle ghiandole linfonodali cervicali e ascellari, dolori muscolari e delle articolazioni (senza infiammazione o rigonfiamento), cefalea di un tipo diverso da quella eventualmente presente in passato, un sonno non ristoratore, debolezza post esercizio fisico che perdura per almeno 24 ore.
COMBATTERE I SINTOMI SI PUÒ - «Purtroppo per ora non esiste un medicinale in grado di guarire definitivamente la malattia - spiega Tirelli -, anche se spesso i pazienti possono trarre dei benefici da diversi farmaci (antivirali, corticosteroidei, immunomodulatori, integratori, fra gli altri) e da modifiche dello stile di vita. A volte si arriva alla guarigione oppure, in un buon numero di casi, si ottengono miglioramenti significativi». In un futuro non molto lontano, però, si spera di poter identificare le cause del disturbo per poterlo diagnosticare e curare meglio. Uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Patology, infatti, ha riscontrato in un gruppo di pazienti con Cfs una serie di anomalie genetiche che potrebbero essere alla base della disfunzione nella produzione cellulare di energie. Per il momento, però, bisogna accontentarsi di contrastare i vari sintomi prendendo, ad esempio, analgesici per il dolore, eritropoietina in caso di abbassamento del livello dei globuli rossi, supplementi di ferro o vitamine in caso di carenza di queste sostanze, corticosteroidi, integratori alimentari e inibitori delle citochine per ricostituire la massa muscolare. I migliori risultati, secondo gli specialisti, si ottengono comunque con la combinazione di medicinali e sostegno psicologico, usando se necessario anche farmaci antidepressivi.
GINNASTICA, CIBI GIUSTI E SONNO - Il primo passo da fare è chiedere una visita e un colloquio approfondito con il proprio curante, che sia l’oncologo o il medico di famiglia, perché la soluzione deve essere calibrata sul singolo caso. Poi, come suggeriscono gli esperti dell’Associazione italiana malati di cancro (Aimac) bisogna organizzare le proprie giornate (a casa e sul lavoro) senza pretendere troppo da se stessi, onde evitare anche lo sconforto del non riuscire a fare quello che ci si era prefissi. E ancora, fate un po' di movimento: stare a letto è molto peggio che costringersi a fare una breve passeggiata, perché - come hanno dimostrato diversi studi scientifici - l’attività fisica è di per sé una cura valida. Infine, è bene mangiare e dormire "quanto basta". Non troppo, perché un’alimentazione pesante o troppo sonno acuiscono la spossatezza, né troppo poco perché altrimenti ci si debilita.
Vera Martinella
(Fondazione Veronesi)

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