Gli antichi Egizi non attribuivano una grande importanza alla materia
cerebrale poiché pensavano che la coscienza risiedesse nel cuore e non
nel cervello. Questa visione, condivisa pure da Aristotele e dal suo
retaggio medievale, portò all'elaborazione di un processo che prevedeva
l'estrazione del cervello di un sovrano defunto attraverso le cavità
nasali prima della fasciatura del cranio con dei tessuti.
Addirittura in seguito alla creazione dell'opinione comune che colloca
la sede del pensiero nella testa, si riteneva che l'elemento
imprescindibile non fosse il cervello, bensì gli spazi vuoti al suo
interno, i ventricoli, in cui volteggiavano gli spiriti effimeri. E nel
1662, il filosofo Henry More affermò con scherno che il cervello "non
mostra maggiore capacità di pensare di un dolce allo strutto o di una
scodella di cagliata".
Nello stesso periodo, il filosofo
francese Renato Cartesio codificò la separazione del pensiero cosciente
dalla massa fisica del cervello, introducendo così un "dualismo" che per
diversi secoli esercitò una rilevante influenza sulla scienza
occidentale e che ancora oggi alimenta quel credo popolare, non
condiviso tuttavia da gran parte dei neuroscienziati, secondo il quale la mente è considerata una qualità magica e trascendente.
Il primo a suggerire che non era solo il cervello a essere la sede
della mente, ma che ogni sua parte attivava specifiche funzioni
cognitive, fu Thomas Willis, un contemporaneo di Cartesio reputato da
molti il padre della neurologia. Curiose furono poi le applicazioni di
questa nozione messe in atto dai frenologi di inizio Ottocento, i quali
proposero che le inclinazioni comportamentali potevano essere dedotte
toccando le prominenze del cranio, formate dalle spinte del cervello in
quei punti in cui si era più sviluppato. Calchi di gesso delle teste di
condannati giustiziati venivano esaminati e comparati con un modello
allo scopo di determinare se una specifica protuberanza potesse essere
associata con certezza a un comportamento criminale particolare.
Nonostante la sua non scientificità eccessiva addirittura per quel
periodo, la frenologia fu sorprendentemente presciente, almeno fino a un
certo limite. Soprattutto nello scorso decennio, le tecnologie avanzate
impiegate per scattare delle istantanee del cervello in attività hanno
confermato che funzioni specifiche hanno luogo in zone precise:
l'"indirizzo" neuronale in cui si ricorda, ad esempio, un numero di
telefono è diverso da quello in cui si richiama alla mente il viso di
una persona, il quale può coinvolgere diversi circuiti se appartiene a
un conoscente o al proprio miglior amico.
Eppure è sempre più
chiaro che le funzioni cognitive non possono essere posizionate nel
cervello come città su una cartina geografica. Un preciso compito
mentale può interessare una rete complessa di circuiti, che
interagiscono con altri secondo livelli mutevoli in tutto il cervello,
come strumenti di un'orchestra sinfonica che uniscono il tono, il volume
e la risonanza per creare un particolare effetto musicale.
Corina e il suo cervello
In una sala operatoria del centro medico di UCLA (University of
California Los Angeles), Corina Alamillo è distesa sul fianco destro. Un
cuscino è infilato tra la guancia e una morsa di acciaio fissata alla
fronte che le mantiene la testa perfettamente immobile. È un'assistente
medica di circa trent'anni dagli occhi scuri, con ciglia folte e un viso
tondo e ampio.
Dall'altro lato di una tenda di carta sterile
blu, due chirurghi sono impegnati a lavorare su un'area del cervello di
Corina grande quanto un piattino da caffè, che luccica come madreperla e
pulsa delicatamente al ritmo del battito cardiaco. Sulla superficie
dell'organo, una filigrana di arterie apporta sangue alla regione
controllata minuziosamente e urgentemente dai chirurghi: si tratta di
una parte del lobo frontale sinistro indispensabile per la
vocalizzazione. A lato, il bordo smussato e nero di un tumore,
minaccioso quanto una tempesta.
Il compito dei chirurghi è
quello di asportarlo, senza compromettere le capacità comunicative della
paziente. Per compiere questa operazione, è necessario che Corina sia
cosciente e reattiva durante l'inizio del processo, iniziato da
un'anestesia che ha permesso di rimuovere un pezzo del cuoio capelluto e
del cranio e di piegare all'indietro la membrana protettiva
sottostante. Grazie a questo procedimento, i chirurghi sono ora in grado
di agire sul cervello, privo di recettori del dolore.
"Svegliati tesoro" dice un'altra dottoressa seduta accanto a Corina
sotto la tenda di carta. "Sta andando tutto bene. Riesci a parlare?" La
ragazza muove le labbra e tenta di rispondere cercando di superare la
fitta nebbia dell'anestesia. "Ciao" sussurra.
Il colore
rosso intenso del tumore è così evidente che un profano riuscirebbe a
distinguerlo pure se stesse dietro al chirurgo. È questo il colore del
tessuto che circonda il cervello di Corina, un bolo di grasso e proteine
di un chilo e 400 grammi simile a un casco, rugoso come una spugna e
con la consistenza del latte cagliato.
Il cervello di Corina è
quanto di più bello possa esistere al mondo, addirittura più bello di
Corina stessa, poiché le permette di percepire la bellezza, di avere una
personalità e, soprattutto, di essere consapevole dell'esistenza. Ma
com'è possibile che questa mera materia componga la mente? Come fa
questo ammasso di carne a porre in essere la comprensione della domanda
del dottore e la capacità di dare una risposta? Attraverso quale sublime
processo l'energia elettrochimica si trasforma nella sua speranza che
tutto si concluda per il meglio o nella sua apprensione per i due figli
nel caso in cui l'operazione non andasse a buon fine?
Come
viene creato il ricordo di lei che stringe la mano della madre nella
stanza d'ospedale mezz'ora fa o in un parcheggio di un supermercato 20
anni prima? Sono tutte domande che sono già state poste, o quasi.
Tuttavia, negli ultimi anni, nuove potenti tecniche che hanno permesso
di rilevare i centri dei pensieri, delle emozioni e del comportamento
stanno rivoluzionando il modo in cui comprendiamo la natura del cervello
e della mente che crea.
L'apertura nel cranio fornisce uno
scorcio della storia dei tentativi compiuti dalla mente di comprendere
il proprio stato fisico. La zona nel lobo frontale accanto al tumore
viene chiamata area di Broca, dall'anatomista francese Paul Broca,
vissuto nel Diciannovesimo secolo. Fu uno dei primi scienziati a
dimostrare definitivamente che, giacché non esiste un'unica sede del
pensiero, funzioni e tratti cognitivi specifici vengono elaborati in
regioni circoscritte del cervello.
Broca individuò l'area
omonima studiando una vittima di infarto. Nel 1861, il dottore incontrò
un paziente soprannominato "Tan", poiché "tan" era l'unica sillaba che
era stato in grado di pronunciare nei 21 anni precedenti. Quando Tan
morì, un'autopsia rivelò che una porzione del lobo frontale sinistro
grande quanto una pallina da golf era stata liquefatta da un grave
infarto avvenuto qualche anno prima.
Qualche anno dopo, il
neurologo tedesco Carl Wernicke identificò un secondo centro del
linguaggio in un'area più retrostante, nel lobo temporale sinistro. I
pazienti che hanno subito un ictus o un qualsiasi altro danno che abbia
interessato l'area di Wernicke sono in grado di parlare senza alcun
problema, ma non riescono a comprendere la lingua e a formulare un
discorso sensato.
Fino a poco tempo fa, i cervelli compromessi
rappresentavano la miglior fonte di informazioni sulle origini della
normale funzione cognitiva. La vista di un soldato della Prima Guerra
Mondiale con una piccola ferita da proiettile dietro la testa poteva
essere interessata, per esempio, da delle zone d'ombra, provocate da una
lesione corrispondente nella corteccia visiva. È possibile che una
persona vittima di un ictus veda il naso, gli occhi e la bocca di un
altro individuo, ma non sia in grado di collocarli nella giusta
posizione sulla faccia. Ciò dimostra che il riconoscimento facciale è
una facoltà mentale discreta esercitata nella regione della corteccia
danneggiata dall'ictus.
Negli anni Cinquanta, il neurochirurgo
americano Wilder Penfield usò un elettrodo per stimolare direttamente
alcuni punti del cervello di centinaia di pazienti epilettici coscienti
durante le operazioni e scoprì che ogni parte del corpo era
distintamente progettata su una striscia di corteccia sul lato opposto
del cervello. Per esempio, il piede destro di un individuo rispondeva a
uno stimolo su un punto della corteccia motoria di sinistra adiacente a
un altro punto che avrebbe dato una risposta simile nella gamba destra.
Lo stimolo di altre zone sulla superficie corticale avrebbe suscitato un
gusto particolare, rievocato un chiaro ricordo d'infanzia o un pezzo di
un brano ormai dimenticato.
I due chirurghi nella sala
operatori di UCLA si preparano ad applicare la tecnica di Penfield
sull'area di Broca del cervello di Corina. Si trovano già nella zona
interessata, ma prima di rimuovere il tumore, devono trovare l'indirizzo
esatto delle specifiche abilità linguistiche di Corina. Inoltre, il
bilinguismo della paziente rende più delicata la situazione: i territori
neuronali che governano il suo inglese e il suo spagnolo possono essere
contigui o, ancor più probabile, parzialmente sovrapposti, visto che ha
cominciato ad apprendere entrambe le lingue nei primi anni di vita.
Susan Bookheimer, la neuropsicologa che parla a Corina sotto la tenda,
prende una carta da un mazzo e gliela mostra, mentre Linda Liau, il capo
chirurgo, le stimola il cervello con un elettrodo. Corina non
percepisce nulla, perché le funzioni sono momentaneamente inibite in
quel punto.
"Che cosa vedi tesoro?", le chiede la dottoressa. Stordita, Corina fissa la figura. "Sassofono" sussurra.
"Brava!" risponde la dottoressa mentre scorre il mazzo di carte.
L'elettrodo non ha stimolato un punto critico del linguaggio. Liau,
quindi, sposta lo strumento di qualche millimetro e Bookheimer sceglie
un'altra carta. "Cos'è questo?" "Unicorno". "Bravissima. Y éste?" "Casa". "Y éste?"
Corina ha un attimo di esitazione. "Bicicleta?" risponde, ma non è una
bicicletta, bensì un paio di corna. Quando sbaglia o fa fatica a
riconoscere una figura di un oggetto comune, i dottori sanno di aver
toccato un punto critico e lo contraddistinguono con un pezzettino di
carta sterile, simile a un bigliettino.
Per il momento, è una
procedura standard per la dottoressa Liau (sua madre è morta per un
cancro al seno che si è esteso al cervello), che ha eseguito circa 600
operazioni simili, ma la mappatura del cervello di Corina sta per
raggiungere una svolta. Ci sono una dozzina di persone nella sala
operatoria, il doppio dello staff necessario per un intervento simile.
Gli altri medici sono indispensabili per usare lo stabilizzatore ottico
d'immagini (OIS), il cui impiego è stato sviluppato presso UCLA da
Arthur Toga e Andrew Cannestra, uno dei chirurghi che sta assistendo
Liau.
Una speciale fotocamera montata su una giraffa si sposta
sul lobo frontale della paziente. Lo scopo di questo dispositivo è
quello di registrare i minuscoli cambi di riflesso della luce sulla
superficie del cervello ogniqualvolta Corina dà un nome alle figure che
vede o risponde a semplici domande, come di che colore è l'erba o qual è
l'animale che abbaia. Riflessi diversi individuano una variazione del
flusso sanguigno, che a sua volta è indice dell'attività cognitiva in
quel punto.
Quando Corina risponde "verde" o "cane", il
modello preciso di circuiti neuronali che trasmettono nell'area di Broca
e nei tessuti circostanti viene fotografato e inviato a un monitor
posizionato in un angolo della sala. Da quel punto, l'immagine viene
caricata istantaneamente in un supercomputer nel Laboratorio di
Neuroimaging di UCLA, collocato in uno dei piani superiori, e viene
aggiunta ad altre 50.000 scansioni di altri 10.000 individui, ottenute
grazie a una gamma di tecnologie ottiche. In questo modo, Corina diventa
una galassia in un universo di informazioni sul cervello umano in
continua espansione.
"Il cervello di una persona è tanto unico
quanto lo è la sua faccia" afferma, da dietro la mascherina, il dottor
Toga, direttore del Laboratorio di Neuroimaging, che oggi osserva
l'operazione. "Nonostante questa quantità d'immagini, diverse cose non
sono ancora chiare. Ma analizzando migliaia di persone, potremmo essere
in grado di avere più informazioni che ci diranno com'è organizzato il
cervello".
La maggior parte delle immagini nell'atlante
cerebrale di UCLA sono state scattate grazie a una tecnica innovativa
chiamata risonanza magnetica funzionale (fMRI). Come l'OIS, l'fMRI
controlla l'aumento del flusso sanguigno come misurazione indiretta
dell'attività cognitiva. Sebbene non sia una tecnica precisa, l'fMRI è
completamente non invasiva e può essere utilizzata per studiare le
funzioni cerebrali non solo in pazienti come Corina, ma anche in coloro
che riescono a trascorre pochi minuti nella cavità tubulare di una
macchina MRI.
È stata impiegata per esplorare gli schemi del
circuito neuronale di persone colpite da depressione, dislessia,
schizofrenia e altre condizioni neurologiche ed è stata sperimentata sul
cervello di centinaia di migliaia di soggetti occupati a eseguire
compiti precisi, come muovere un dito di scatto, ricordare una faccia
conosciuta, risolvere un dilemma morale, provare un orgasmo o
confrontare i gusti di una Pepsi e di una Coca-Cola.
Ma come
ha fatto il cervello ventottenne di Corina a produrre la sua mente? Che
cosa può dirci la nuova scienza al riguardo? In termini di crescita
cerebrale, la nascita a Santa Paula, una comunità agricola a circa 80
chilometri a nord di Los Angeles, è un non-evento. Al contrario, i nove
mesi precedenti nell'utero materno furono un dramma neuroevolutivo di
proporzioni epiche.
Quattro mesi dopo il concepimento,
l'embrione che sarebbe diventato Corina stava producendo mezzo milione
di neuroni al minuto. Durante le settimane successive, queste cellule
migravano verso il cervello e altre destinazioni specifiche stabilite da
caratteristiche genetiche e interazioni con i neuroni vicini. Durante
il primo e il secondo trimestre di gravidanza, i neuroni iniziarono a
espandersi e a collegarsi tra loro tramite dei tentacoli, creando così
dei punti di contatto, o sinapsi, al ritmo di due milioni al secondo.
Tre mesi prima del concepimento, il cervello di Corina era
un'intricatissima giungla di connessioni, con un numero di cellule che
non avrebbe mai più avuto, eccessivo sia per quando si trovava
nell'utero, un ambiente privo di sfide dal punto di vista cognitivo, sia
per quando sarebbe diventata adulta.
Successivamente, alcune
settimane dopo la nascita, il processo si invertì: gruppi di neuroni
competevano l'uno con l'altro per reclutare altri neuroni
nell'espansione di circuiti con funzioni specifiche. I perdenti morivano
uno dopo l'altro in un processo di selezione chiamato dagli scienziati
"Darwinismo neuronale".
I circuiti sopravvissuti erano già
parzialmente regolati per il nuovo mondo: alla nascita, Corina era già
più predisposta al suono della voce materna rispetto a quello degli
sconosciuti, alle filastrocche che poteva aver sentito nell'utero e
forse ai gusti della cucina messicana di sua madre, che aveva assaporato
in gran quantità nel liquido amniotico. L'ultimo senso non
completamente sviluppato era la vista, ma anche in quelle condizioni,
riusciva a riconoscere il viso della mamma a soli due giorni di vita.
Nei 18 mesi successivi, Corina era una macchina da apprendimento.
Mentre i cervelli più maturi hanno bisogno di una specie di contesto
(una motivazione, come un premio, per rivolgere l'attenzione su uno
stimolo piuttosto che un altro) per imparare qualcosa, quelli dei
bambini assorbono ogni cosa percepita dai loro sensi.
"Può
sembrare che stiano semplicemente seduti a fissare cose, ma già dai
primi momenti, i bambini nascono per andare alla ricerca di
informazioni", afferma Mark Johnson, professore al Centre for Brain and
Cognitive Development (Centro per lo Sviluppo Cerebrale e Cognitivo)
presso Birkbeck, all'Università di Londra. Quando Corina esplorava un
mondo nuovo, i circuiti neuronali che ricevevano continui stimoli
sviluppavano connessioni sinaptiche più forti, mentre quelli che
rimanevano inattivi si atrofizzavano. Appena nata, ad esempio, era in
grado di sentire ogni suono di ogni lingua del mondo, ma, a mano a mano
che le sillabe dello spagnolo (e in seguito dell'inglese) le entravano
nelle orecchie, le aree del linguaggio del cervello diventavano più
sensibili a quei suoni, a differenza di altri provenienti dall'arabo o
dallo swahili, tanto per citarne alcuni.
Se c'è una parte del
cervello dove ebbe inizio la concezione di sé della mente di Corina,
questa si troverebbe nella corteccia prefrontale, una regione collocata
appena dietro la fronte che si estende quasi fino alle orecchie, in cui i
circuiti si sviluppano fin dal secondo anno di vita. Prima che la
corteccia prefrontale diventi attiva, un bambino davanti allo specchio
con una guancia sporca tenterà di pulire la sua immagine riflessa
piuttosto che se stesso, perché non avrà capito che si sta specchiando.
Perciò, se Corina poteva riconoscersi allo specchio prima di compiere
tre anni, sarebbe dovuto trascorrere un altro anno prima che capisse che
l'immagine allo specchio persiste intatta nel tempo. In studi condotti
da Daniel Povinelli e colleghi all'Università della Lousiana a
Lafayette, alcuni bambini furono ripresi mentre giocavano e, durante il
gioco, uno sperimentatore metteva di nascosto un grande adesivo tra i
loro capelli. Quando il video venne mostrato ai bambini qualche minuto
dopo, la maggior parte di quelli al di sopra dei tre anni si mise le
mani tra i capelli per rimuovere l'adesivo, dimostrando di aver capito
che gli individui nel video erano loro stessi, mentre i bambini più
giovani non stabilirono una connessione.
Se, a tre anni,
Corina avesse avuto un adesivo impigliato tra i capelli, ora non lo
ricorderebbe. Il suo primo ricordo è l'eccitazione che provava a quattro
anni quando andò al negozio con la madre a prendere un vestitino rosa
di pizzo. La mancanza di ricordi su quello che è avvenuto prima è dovuta
allo sviluppo incompleto del suo ippocampo, una parte del sistema
limbico posta in una zona interna del cervello responsabile della
memoria a lungo termine.
Ciò non significa che non esistano
ricordi precedenti nella mente di Corina. Poiché suo padre se ne andò di
casa quando lei aveva solo due anni, non può ricordare consapevolmente i
momenti in cui si ubriacava e abusava della madre. Ma è probabile che
le emozioni associate al ricordo siano accumulate nell'amigdala,
un'altra struttura del sistema limbico nel cervello che potrebbe essere
già operativa dalla nascita. Sebbene sia improbabile che i ricordi
emotivi intensi impressi nell'amigdala siano accessibili a una mente
cosciente, essi possono tuttavia influenzare il nostro modo di agire e
percepire oltre la nostra consapevolezza.
Diverse aree del
cervello si sviluppano in modi diversi a ritmi differenti durante
l'infanzia e sicuramente la modellatura e la rifinitura del cervello di
Corina nei primi mesi di apprendimento fu importante. Ma in base a studi
recenti di imaging sui bambini condotti per alcuni anni presso UCLA e
il National Institute of Mental Health (Istituto Nazionale di Salute
Mentale) di Bethesda, nel Maryland, si è scoperto che appena prima della
pubertà, avviene una seconda crescita repentina della materia grigia.
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